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Il prezzo del miele non cessa di aumentare: più del 25% in soli sei anni. La causa è duplice: da un lato le api diminuiscono e la produzione cala, dall’altro cresce la domanda di dolcificanti naturali da parte delle industrie. La produzione è in netto calo e gli apicoltori non hanno altra scelta che vendere a prezzi più alti. Così, secondo la rivista Bee Culture, i produttori americani quest’anno vendono al dettaglio un chilo di miele per il corrispettivo di 14 euro e gli apicoltori di tutto il mondo sono costretti ad aumentare i prezzi. Più volte si è provato a correre ai ripari migliorando i servizi negli stabilimenti di produzione, ma nessun sistema è riuscito per il momento a invertire il fenomeno dello spopolamento degli alveari. Fenomeno per cui molte api abbandonano l’alveare e, disorientate, vanno incontro alla morte. Alla base del problema, secondo molti scienziati, il mutamento delle condizioni ambientali che andrebbe a compromettere la fioritura, modificando così il ciclo produttivo e biologico degli insetti, nonché l’utilizzo massiccio di pesticidi che ne altera il comportamento fino a determinarne la morte.

In Italia l’allarme è stato lanciato anche da Coldiretti che ha sottolineato l’importanza dell’apicoltura non solo per la produzione di miele, ma anche per altri prodotti alimentari. Nel suo comunicato si legge: “La sofferenza delle api è uno degli effetti dei cambiamenti climatici in atto che sconvolgono la natura e si manifestano con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo. La pioggia no stop compromette il duro lavoro delle api e serve ora un rapido cambiamento del tempo per salvare gli alveari. Non si tratta solo della produzione del miele poiché prodotti come mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia, girasole e, colza dipendono completamente o in parte dalle api per la produzione dei frutti. Ma le api sono utili anche per la produzione di carne con l’azione impollinatrice che svolgono nei confronti delle colture foraggere da seme come l’erba medica e il trifoglio, fondamentali per i prati destinati agli animali da allevamento. Anche la grande maggioranza delle colture orticole da seme, come lìaglio, la carota, i cavoli e la cipolla, si può riprodurre grazie alle api”.

Un problema di rilevanza mondiale che ha portato molti produttori a reinventarsi e molti ecologisti a chiedere ai governi delle misure di intervento serie. Così, negli ultimi anni, non è difficile imbattersi in alveari collocati sui tetti delle case di New York e Parigi che hanno aderito a progetti di apicoltura urbana con tanto di corsi di formazione per insegnare ai cittadini a diventare esperti delle api e della produzione di miele. Iniziative che hanno portato alla nascita di tipologie anche più apprezzate rispetto a quelle tradizionali, data la presenza in città di meno pesticidi. Anche alcune città italiane hanno risposto all’appello: del “miele urbano” è stato prodotto a Milano, nei giardini della Triennale, e a Roma, con vari progetti della Federazione Apicoltori Italiani. A Torino, sin dal 2010, è attivo il progetto Urban Bees con arnie collocate in residenze private e luoghi pubblici. Inoltre, di matrice italiana anche alcune start-up come 3Bee che permette di monitorare la situazione degli alveari anche tramite app e di intervenire tempestivamente in caso di imprevisti. In Italia il mercato del miele ha numeri altissimi: gli apicoltori sono più di 45.000 e le varietà di miele sono tantissime. Una risorsa da 2 miliardi di euro che rappresenta una perla dei prodotti made in Italy.