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Quando si parla di riscaldamento globale in pochi associano la problematica al comportamento individuale (l’idea del comportamento del singolo per il salvataggio del pianeta è una consapevolezza arrivata relativamente da poco), e ancor di meno l’associano alla propria alimentazione. Forse per abitudine, nonché per un alto e diffuso tasso di disinformazione sull’argomento, si è maggiormente portati a pensare che le sue cause siano da ricercare soltanto nell’utilizzo di energie non rinnovabili. In realtà un grande ruolo è rivestito dall’alimentazione o meglio dalla produzione di carne e dalle modalità di produzione da parte degli allevamenti intensivi. E se il problema principale è a monte, ossia nella produzione, è anche vero che l’alimentazione, intesa come scelta alimentare, è ciò che determina l’alta necessità produttiva dell’alimento ed innesca la sua catena di produzione e diffusione.

Per produrre un kg di carne si emette dai 3,2 ai 4,6 kg di anidride carbonica equivalente. Per un kg di filetto di manzo si arriva fino ai 60 kg. Cosa determinano questi numeri? Solo nel 2006, quando la percentuale di carne prodotta era più bassa, i gas serra derivanti da tale fonte erano circa il 18% dei totali (dati pubblicati dalla FAO). Inoltre, per produrre un kg di carne di pollo sono necessari circa 4.300 litri di acqua, circa 6.000 per un kg di carne di maiale e 15.500 litri per un kg di carne bovina. Dati che hanno un impatto ambientale devastante. Ma non è tutto: secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 il consumo globale di carne aumenterà del 76%, arrivando a 465 milioni di tonnellate all’anno, una percentuale insostenibile.

Numeri e percentuali da capogiro, alla base anche di altre problematiche connesse: anche i recenti incendi della foresta amazzonica troverebbero infatti la loro fonte nella necessità di ulteriori spazi da dedicare all’allevamento. Incendi che, oltre a contribuire al riscaldamento globale, hanno anche danneggiato enormemente la biodiversità.

Attualmente le aree dove il consumo di carne (in questo caso carne rossa) è più alto sono l’Unione Europea, il Brasile, la Cina e gli USA.
In Europa, in particolare, nessun provvedimento concreto è stato ancora stato preso circa la limitazione di questo fenomeno: ci si è limitati a discutere, senza approvare, circa la tassazione sulla vendita di carne. In numerosi paesi, tuttavia, si stanno sviluppando eventi di sensibilizzazione o giornate come “i lunedì senza carne” che mirano a ridurre il consumo di carne invitando a non mangiarla in determinate giornate del mese.
Secondo molti economisti l’idea di tassare la carne, pur apparendo in apparenza come un danneggiamento dei consumatori, è in realtà la soluzione più opportuna: in tal modo si andrebbe a ridurre, secondo le statistiche, il consumo di carne di almeno il 25%.

Una presa di posizione netta è ancora lontana e, secondo molti scienziati, il fenomeno del consumo esagerato della carne, con conseguenze negative per l’ambiente, è ben lontano dal trovare un’inversione di tendenza. Intanto, però, secondo molti scienziati, è già troppo tardi per intervenire su fenomeni che determineranno nei prossimi anni un cambiamento climatico irreversibile.

Agire presto è il modo migliore per scoprire se tale inevitabilità sia vera o meno.