Algeria, uno scontro che preoccupa l’Italia
Mentre in Libia si riaccende lo scontro Haftar-Serraji, un altro stato del Nord Africa, l’Algeria, mostra segni di pericolosa instabilità. L’ex colonia francese, uscita indenne o quasi dal travagliato periodo delle primavere arabe, ha visto la nascita di una nuova stagione di proteste nei confronti della nuova candidatura di Abdellaziz Bouteflika, l’uomo dei militari che governa il paese dal 1998. Nel 1991 l’Algeria vide le prime elezioni democratiche dopo la fine della dittatura militare di Chadli Bendjedid, che videro tuttavia la vittoria del partito islamico salafita del Fronte di Liberazione Nazionale. Dietro pressioni dell’Occidente, che temeva il formarsi di un nuovo stato confessionale sul modello iraniano, le forze armate algerine decisero di prendere il potere militarmente; il golpe portò al governo un veterano dell’esercito, Mohamed Boudiaf, che si dedicò a schiacciare le ultime milizie islamiche del FLN, prima che queste confluissero in Al Quaeda dopo la fuga nei vicini Mali, Niger o Ciad. Dopo le presidenze di Ali Hussein Kafi e Liamine Zèroual (entrambi militari), si passò al governo dell’attuale presidente Bouteflika, che si dedico alla pacificazione del paese con l’emanazione di amnistie nei confronti dei gruppi islamisti come la “Legge per la Concordia Civile” del 16 settembre del 1999, sebbene la sua presidenza sia sempre stata legata a doppio filo agli interessi dei militari e sia stata caratterizzata da tendenza autocratica.
Tra il 2010 e il 2011 la stagione delle primavere arabe fece piombare nel caos i vicini stati di Tunisia e Libia, mentre la stessa famiglia reale marocchina fu costretta ad importanti concessioni in senso democratico; in Algeria tuttavia, le proteste contro la corruzione e la stagnazione economica, non portarono a significativi cambi di leadership, nonostante il presidente decise di abolire le misure speciali di sicurezza in funzione dal 1994. Complice l’evidenza del disastro che stava avvenendo nella Libia del dopo Gheddafi e agitando lo spettro del terrorismo islamista, Bouteflika riuscì a mantenersi al governo.
Con l’inizio del 2019, il presidente ha annunciato che correrà per il quinto mandato, contro le aspettative di una svolta democratica del popolo algerino. La magistratura ha sconfessato l’operato del presidente, ormai paraplegico ed anziano (82 anni), annunciando l’invalidazione delle elezioni qualora Bouteflika avesse vinto. Di fronte a questo scenario il capo di stato ha deciso di rassegnare le dimissioni. Nonostante ciò, il comando è passato temporaneamente a Abdelkader Bensalah, fedelissimo di Bouteflika e premier da 16 anni, provocando una riacutizzazione delle proteste da parte dei giovani algerini, che hanno visto cancellato il proprio sogno di transizione verso uno stato democratico.
La possibilità che le proteste portino a uno scenario di anarchia simile a quello libico, preoccupa particolarmente i partner occidentali dell’Algeria, Francia e Italia in primis per due ordini di motivi, il primo di natura politica e il secondo di natura economica. Se infatti il pericolo primario è quello di creare terreno fertile per il reinserirsi di gruppi terroristici, ciò che preoccupa principalmente il Bel Paese è la sorte del Trans-Mediterranean Pipeline, o “Viadotto Enrico Mattei”, che, attraverso il canale di Sicilia, collega l’Italia con il più grande giacimento di gas naturale del continente africano, per una portata di 30 miliardi di metri cubi di gas. Una potenziale interruzione sarebbe disastrosa per l’approvvigionamento energetico, mentre non è da trascurare il fatto che i disordini algerini potrebbero portare ad una nuova ondata migratoria verso la Penisola.
Con la situazione in rapida evoluzione e i militari che hanno mostrato di non volere rinunciare facilmente alle leadership, la situazione che si prospetta è sicuramente molto tesa, mentre gli stati occidentali sono distratti da vicende come Brexit e crisi libica e sembrano non volersi pronunciare in merito alla questione.