Astensionismo elettorale: quasi la metà degli italiani non ha votato
Record di astenuti alle elezioni europee: il 43,7% degli italiani non si è recato alle urne. Dato che suggerisce una triste evidenza: il “non voto” come primo partito italiano.
I numeri sono davvero alti e crescono se inquadrati in una prospettiva meridionale. In Campania, infatti, gli astenuti sono stati addirittura 2.451.789 su un totale di 4.746.710 elettori, ossia il 51,65%. Cifre che indicano un aumento dell’astensionismo rispetto alle precedenti elezioni europee del 2014 quando la percentuale di astenuti fu del 41,3% e che sembrano titaniche se rapportate alle prime elezioni europee, quelle del 1979, quando i non votanti furono solo il 13,9%.
Il tutto in contrasto all’andazzo europeo che vede un’affluenza alle urne in forte crescita rispetto al passato: il 51% degli aventi diritto, infatti, ha espresso il proprio voto, rilegando l’astensionismo a un passato in cui i dati erano molto diversi.
Circa la differenza tra il dato crescente europeo e quello calante italiano, Steven Erlanger del The New York Times suggerisce che alla base della crescita dell’affluenza europea vi sia una maggior motivazione degli elettori pro-Europa nel mantenere salde le istituzioni europee contro le ideologie populiste. In Italia, invece, le elezioni europee sono state presentate sotto una diversa connotazione politica, ossia come una prova di potere da parte di alcuni partiti che nel corso della campagna elettorale, più che di Europa, hanno parlato di politica interna.
Questa opinione sembra confermare la tesi di Nicolò Conti, professore di scienza politica all’università La Sapienza, che ritiene che le istituzioni europee siano percepite dai cittadini italiani come distanti e, dunque, incapaci di incidere efficacemente sulla vita reale.
Da un punto di vista matematico, però, il 43,7% è una percentuale che pesa e che potrebbe indurre cambiamenti determinanti nei giochi di potere partitici. Una fetta di elettori che Fausto Anderlini, sociologo, definisce appartenenti al partito dell’astensione, caratterizzato da una forma orgogliosa di consapevolezza. Astenuti non inconsapevoli, dunque, ma ben consci di non voler votare alcun partito.
Stando ai dati circa le elezioni europee, circa il 2,4% degli elettori nel 2014 ha votato dei partiti che nel 2019 non ha votato più. Impossibile stabilire con precisione quale partito, o quali partiti, abbiano perso una fetta importante dell’elettorato. Se si aggiungesse ad esempio il numero di questi “nuovi” astenuti al partito +Europa questo probabilmente supererebbe la soglia del 4% e potrebbe ottenere seggi al Parlamento Europeo. Se lo aggiungessimo a uno dei partiti vincitori, si avrebbe un cambiamento che, seppur non rivoluzionario rispetto all’assetto dei risultati attuali, sarebbe comunque rilevante.
Il numero dei seggi che ogni Paese europeo ha a disposizione nel Parlamento dell’Unione è calcolato proprio in base alla popolazione di ciascuno Stato e si basa sul principio della rappresentanza. I candidati votati da ciascun Paese (per l’Italia attualmente 73) confluiscono nei vari gruppi parlamentari per legiferare sulle politiche comunitarie. Conti alla mano si può affermare che poco più della metà degli elettori europei sono rappresentati in Parlamento da candidati da loro votati, il restante non ha votato nessuno ed è rappresentato, in forza di una non scelta, da candidati che non ha direttamente voluto. Il dato si aggrava in relazione ad alcune zone geografiche: ad esempio per la circoscrizione dell’Italia meridionale i 17 vincitori che andranno a occupare seggi a Bruxelles sono stati votati da un corpo elettorale caratterizzato da uno degli astensionismi più alti dell’intera Unione Europea.
Astensionismo e rappresentanza restano così due concetti che si escludono a vicenda.