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Secondo l’ultima ricerca di Eurostat  l’Islanda è il paese più caro dell’eurozona, nel 2018 i prezzi di consumo sono stati in media superiori del 56% rispetto al resto d’Europa. Seguono Svizzera, Norvegia e Danimarca.

Clima rigidissimo e paesaggi mozzafiato: negli ultimi anni l’Islanda è diventata una meta molto ambita tra i turisti che prediligono itinerari diversi dal solito e scorci naturalistici. Negli ultimi dieci anni il numero dei turisti è più che raddoppiato. Una crescita turistica che, però, ha fatto scoprire agli europei una realtà economica che pochi possono permettersi. Il prezzo medio di una bottiglia di vino acquistata in un supermercato è di 17 euro, quello di una cena per due in un ristorante di 85 euro. Una pizza margherita non costa meno di 16-17 euro. Costi elevati a causa, in parte, della necessità di importare la maggior parte dei prodotti. Prezzi che risultano però coerenti con i salari: il salario medio di un impiego full time è pari a 4.450 euro. Un divario, quello con i salari medi del resto dell’Europa, che si è acuito dal 2017 al 2018 quando la fluttuazione della corona (la moneta islandese) ha portato un innalzamento degli stipendi. Una situazione che si è risollevata negli ultimi dieci anni: nel 2008, infatti, il Paese nordico era andato incontro a un terribile crack finanziario in seguito al crollo dell’istituto di credito islandese Landsbanki.
La tendenza, però, potrebbe presto cambiare: nel primo trimestre del 2019 l’inflazione è salita del 3,1%. Inoltre, secondo la Banca Centrale, quest’anno verrà registrata una contrazione del PIL dello 0,4% che potrebbe portare a un abbassamento dei prezzi. Elementi che si affiancano ad altri piccoli dissesti, come il fallimento della compagnia aerea low cost WOW Air, che sommati vanno ad incidere sull’economia del Paese da poco più di 350.000 abitanti.

Uno Stato piccolo, dove l’energia proviene quasi totalmente da fonti rinnovabili (energia idroelettrica e geotermica) e dove il 75,6% dei lavoratori è impiegato nel terziario. Un microsistema che, tuttavia, date le peculiarità geografiche e l’esigua popolazione non può essere individuato ed esportato come modello.

Prezzi alti e incubo recessione dunque. Un binomio rischioso con cui il Paese più freddo d’Europa dovrà fare i conti nei prossimi anni. Intanto la capitale Reykjavik ha prezzi meno convenienti della costosissima Venezia. In compenso però offre più neve.