Tutte le contraddizioni della seconda commissione von der Leyen
(di Raffaele Cimmino)
Ursula von der Leyen, dopo aver ottenuto navigando tra non pochi ostacoli la nomina a presidente della Commissione europea, ha presentato i nomi dei componenti che nel prossimo quinquennio formeranno il “governo” dell’Unione europea. Dopo aver chiesto ad alcuni paesi di cambiare l’indicazione del commissario per ottenere un riequilibrio di genere, si è arrivati alla nomina di 11 donne e 17 uomini. Dal punto di vista politico gli equilibri della Commissione non potevano che risentire del risultato delle ultime elezioni anche se, va ricordato, l’indicazione viene dai singoli governi dei paesi dell’Unione. Venendo alle appartenenze: undici sono i commissari in quota al Partito popolare europeo, cinque fanno riferimento ai liberali di Renew, quattro ai socialisti.
Fa eccezione alla tradizionale ripartizione tra le famiglie politiche europee la nomina, con delega alla coesione e alle riforme, a vicepresidente esecutivo di Raffaele Fitto, che è invece espressione di Fratelli d’Italia, partito iscritto del gruppo dei conservatori europei (ECR), di cui è presidente la premier italiana Giorgia Meloni. Proprio quest’ultima nomina è quella che ha destato più perplessità tra alcuni dei gruppi parlamentari che sostengono von der Leyen. Allargare a un gruppo del parlamento che ha votato contro la stessa presidente è stato un cazzotto nell’occhio ai socialisti e soprattutto ai verdi, dato che questi ultimi hanno votato senza contropartite.
Tra l’altro proprio sul voto contrario del gruppo ECR sembrava essersi consumata la rottura tra la baronessa tedesca e Giorgia Meloni dopo un avvicinamento e una intesa che sembrava ormai solida e capace di suggellare il successo della strategia della presidente e del capogruppo del Partito popolare europeo, Manfred Weber, di avvicinamento alla destra sovranista nella prospettiva di una futuribile alleanza che escludesse i socialisti.
La nomina di Fitto sembra suggerire che quella apertura alle destre nazionaliste più malleabili, come il partito di Giorgia Meloni, non è stata messa del tutto in soffitta. Proprio il complesso delle nomine e la distribuzione delle lettere di incarico – si segnala tra l’altro il deciso raffreddamento della questione della transizione ecologica e del Green new deal varato dalla precedente commissione – sembrano confermare un complessivo spostamento a destra del programma della von del Leyen II.
In questa direzione è suonato più di un segnale di allarme per il gruppo socialista. Da un lato, il rifiuto di confermare la nomina dello Spitzenkandidat (candidato presidente) socialista, il lussemburghese Nicolas Schmitt, già commissario al lavoro nella commissione uscente; poi la stessa assenza della delega al lavoro sostituita da fantasiosi incarichi alle competenze – spicca tra l’altro quella al “benessere animale” conferita all’ungherese Oliver Varhelyi, oltre alla grande frammentazione degli incarichi che sembra essere funzionale al ruolo centrale assunto dalla presidente. Pesa anche l’affidamento di nomine importanti, come quella agli esteri alla ex premier estone Kaja Kallas e alla difesa al lituano Andrius Kubilius, figure molto esposte sul fronte della guerra ucraina. Inoltre, l’immigrazione, tema su cui von der Leyen sembra assecondare le posizioni delle destre sovraniste, va all’austriaco Magnus Brunner, pronto a portare avanti un’agenda molto rigida, che non esclude deportazioni sul modello di quella ideata dai governi conservatori inglesi.
Proprio questi elementi hanno fatto dire ai commentatori che la seconda commissione von der Leyen determinerà un deciso spostamento a destra delle politiche europee. Non è casuale che i commenti dal campo socialista siano improntati a un misto di irritazione e voglia di rivalsa. Dal capodelegazione del Pd Zingaretti, che parla di passo indietro della presidente, alla capogruppo socialista, la spagnola Iratxe García Pérez, che promette battaglia per cambiare gli equilibri.
Bisogna dire infatti che i commissari per entrare in carica devono affrontare un duro esame da parte di una commissione del Parlamento europeo. Non sono stati pochi i casi di bocciature, in Italia si ricorda il caso clamoroso di Rocco Buttiglione ritenuto inadatto alla nomina per le sue posizioni ultraconservatrici. Gli esponenti italiani del gruppo socialista hanno iniziato chiedendo a Fitto una chiara pronuncia a favore dell’Europa, sottintendendo che deve sconfessare le tesi prevalenti nel partito da cui proviene, anche se in realtà Fitto ha una formazione da democristiano a tutto tondo e vanta una significativa esperienza da europarlamentare. Insomma, la partita è ancora aperta e per Ursula von der Leyen non è detto che la strada sia del tutto in discesa.