Una corsa che porta alla rielezione di Trump
(di Raffaele Cimmino)
A rendere accidentato più del previsto il percorso delle elezioni americane è arrivato l’ennesimo “shooter”, lo sparatore solitario quasi sempre maschio, giovane, bianco, ai margini della società ma dotato di un’arma con cui colpisce nella massa o il singolo bersaglio. Questa volta l’obiettivo di Thomas Matthew Crooks era nientedimeno che Donald Trump, il 78enne tycoon, ex presidente e di nuovo in corsa per conquistare il Campidoglio. È mancato meno di un centimetro perché conseguisse il risultato: alla fine solo un piccolo scarto ha fatto sì che l’unica pallottola che ha raggiunto Trump lo colpisse all’orecchio senza fare grossi danni. The Donald, mostrando oggettivamente grande presenza di spirito, protetto dagli agenti del Secret service, ha potuto rimettersi in piedi e galvanizzare la folla ancora angosciata con l’invito a combattere. L’attentato a Butler gli ha consentito di affrontare la convention repubblicana che si è tenuta a Milwakee dopo qualche giorno in un’aura di martirio cristologico. Così ha ancora più stretto il controllo sul partito che è ormai perfettamente sovrapponibile al suo programma politico più noto con l’acronimo: Maga (Make America great again).
In un clima di entusiasmo parossistico dei delegati, che già pregustano una larga vittoria, ha potuto nominare il suo vice, il senatore J.D.Vance, ex marine, ex venture-capitalist, diventato noto sull’onda di un biografia di successo. L’attentato a Trump, se ce ne fosse stato ancora bisogno, sembra aver gettato ancora più nel caos il campo democratico. Dopo il risultato disastroso del confronto tra Biden e lo stesso Trump, in cui sono apparsi evidenti i sintomi di una decadenza psichica e cognitiva del presidente in carica.
Tutto il dibattito all’interno dei democratici, nelle ultime settimane, è ruotato intorno all’opportunità di mantenere la candidatura di un Biden palesemente in difficoltà, con vuoti di memoria e lapsus che ne denunciano impietosamente il decadimento, o cercare rapidamente un candidato con qualche chance in più. Con una lettera sul New Times di George Clooney, noto sostenitore democratico e amico del presidente, e con mezze frasi velate di ambiguità da parte altri maggiorenti del partito, il dubbio sulla capacità di un Biden in queste condizioni di poter credibilmente battersi fino a novembre appare ormai dilagante benché sotterraneo.
L’attentato a Trump solo per qualche ora ha soverchiato quello che era ormai il tema dominante della campagna. Il termometro più sensibile sulle possibilità di un candidato alle presidenziali, cioè l’affluenza dei finanziamenti dei donor, i donatori privati che alimentano le campagne presidenziali, segnava ormai allarme rosso per Biden: ben 90 milioni di dollari di nuovi finanziamenti sono stati bloccati. Kamala Harris, la non eccezionalmente popolare vicepresidente, sembra la favorita come possibile alternativa. Tuttavia, da tutti i settori dell’informazione traspare una convinzione: l’attentato ha reso inattaccabile sul piano personale Donald Trump e ha dato l’ultima spinta al suo ritorno alla Casa bianca. Infine, è giunta la decadenza per improcedibilità dell’accusa di aver conservato documenti pubblici top secret pronunciata da una corte della Florida. Tutto questo mentre la polarizzazione delle posizioni tra gli schieramenti non accentua a regredire ma si carica ancora di più di accuse reciproche. Minaccia così di allargarsi la frattura nella società americana tra chi supporta e chi detesta Trump, tra chi crede che il tycoon newyorkese sia un alfiere delle libertà americane e chi pensa che sia un personaggio pericoloso per la democrazia.
In definitiva, lo stato di salute di quella che si vuole la più grande democrazia al mondo appare assai vacillante. Molta acqua è destinata a scorrere ancora sotto i ponti fino a novembre, quando si voterà. Ma fino ad allora il mondo starà con il fiato sospeso, perché è noto che chi abita alla Casa bianca di solito influisce molto su quello che accade. Nel mondo e non solo negli Stati uniti.