Cosa dicono le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia
(Di Raffaele Cimmino) La prima volta di Panetta non ha deluso. Nelle sue considerazioni finali il governatore della Banca d’Italia ha certamente concesso quello che non si poteva non concedere sul piano strettamente statistico (crescita delle esportazioni, dell’occupazione, dell’automazione). Tuttavia, esattamente come soleva fare da componente del consiglio direttivo della BCE, si è prodotto in un’analisi lucida delle contraddizioni e dei limiti del modello italiano e di quello europeo. Questo, beninteso, si può cogliere solo sfrondando il lessico paludato che si confà all’occasione e alla platea. Laddove è scontato che le considerazioni si prestano a essere interpretate nel modo più conveniente per ognuno. Basta piluccare le frasi che meglio si possono reinterpretare a proprio uso e consumo. Però è l’insieme dell’intervento che va oltre l’occasione rituale – sia pure tenendosi nel perimetro del mainstream e non poteva altrimenti-, e offre corposi elementi di riflessione.
Ma che cosa ha detto Panetta? Il governatore riconosce certamente i dati positivi che si sono evidenziati negli ultimi mesi, senza poter nulla dire dei chiaroscuri che si annidano dietro quei dati. Ad esempio sottolinea la forte crescita post-pandemia dell’economia italiana, ma omette di dire che con la crisi pandemica la caduta del pil italiano è stata la più forte tra i paesi avanzati del continente. In realtà, l’economia italiana non solo non ha ancora recuperato la stessa base produttiva dalla prepandemia ma neppure le posizioni anteriori alla grande crisi del 2008.
Panetta mette l’accento sulla perdita sul calo della produttività dell’economia italiana, e nel, contesto di questa di quella italiana. E collega molto opportunamente a questo limite intrinseco alla nostra economia quello della nostra marcata stagnazione salariale. Ricorda infatti che il reddito reale delle famiglie italiane è fermo al 2000, mentre nello stesso lasso di tempo quello di Francia e Germania è aumentato di un quinto. Una volta detto questo, appare assai ridimensionata la fanfara del governo sull’aumento dell’occupazione. Va da sé insomma che con questo quadro parliamo solo dell’aumento di lavoro povero e precario. Indicando come positivo il balzo, relativo, di innovazione tecnologica nel comparto produttivo nazionale Panetta indica nell’aumento della produttività anche la chiave per la riduzione del debito pubblico, che non può dunque – è l’affermazione implicita – essere affidata solo ai meccanismi del nuovo Patto di stabilità che conserva parecchi tratti della “stupidità” del vecchio Patto. Non meno costruttivo il riferimento all’Europa. Il limite della mancanza di una politica di bilancio comune e del mancato completamento dell’Unione bancaria, non meno che l’assenza di un mercato unico dell’energia, delle telecomunicazioni e della finanza, rendono arduo pensare che l’Europa possa reggere le sfide complesse che ha davanti. Soprattutto se si guarda al ridisegno degli scenari globali e all’emergere di players che giocano ormai a tutto campo costruendo alleanze, come l’India oltre alla stessa Cina. Una apolitica di bilancio comune con l’emissione di titoli garantiti consentirebbe all’Europa di guardare di disporre di uno strumento adeguato ad allargare il proprio mercato finanziario e renderebbe più forte l’euro. Se d’altra parte grandi sfide che l’Europa ha di fronte richiedono investimenti comuni per molti anni, come nel caso della transizione ecologica, vi è la necessità di ridurre la propria dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico e la sicurezza esterna. E, secondo Panetta, qui occorrerà mobilitare anche capitali privati.
Non per ultimo il tema del calo demografico, che non sembra interessare a nessuno, ma che, avverte Panetta, rende difficile immaginare il rilancio del paese. E dunque la necessità di immaginare che i flussi migratori siano visti come una risorsa per l’economia nazionale per una società sempre più invecchiata che a maggior ragione deve sapere affidarsi ai propri giovani anziché costringere i migliori ad emigrare altrove. Insomma, considerazioni ad ampio raggio di un economista che, anche senza avventurarsi su terreni infidi, tiene d’occhio la prospettiva e indica mete e strumenti per raggiungerla. Tutt’altro dai sentieri a cui ci ha abituato la politica, e la stessa Banca d’Italia, negli ultimi decenni.