Come è cambiata la Cannabis in Italia
Dopo un lungo processo durato oltre due anni della 63esima sessione della Commission on Narcotic Drugs riconvocata dal 2 al 4 dicembre 2020, l’ONU ha riconosciuto ufficialmente il valore dell’uso medico-terapeutico della Cannabis.
Storia della Cannabis in Italia
La Cannabis veniva utilizzata in vari tessuti dai mongoli, dai giapponesi e dai Tartari già prima dell’avvento della seta e del cotone. Già 8000 mila anni fa il suo impiego veniva eseguito in Cina per la produzione dei tessuti a scopo medico. Numerose sono le ricerche in cui sostengono che alcune piante di canapa hanno fatto il loro ingresso in Europa tantissimi anni fa. La diffusione di queste piante sono legate presumibilmente agli spostamenti appartenenti alle tribù nomadi almeno 500 anni prima di Cristo. Infatti, a Berlino è stata ritrovata un’urna in cui all’interno sono contenute foglie e semi di Cannabis che risalgono a circa 2.500 anni fa.
La Canapa nel nostro Paese viene utilizzata da millenni. Ad esempio, nel Canavese sono state ritrovate pipe storiche in cui sono state riscontrate alcune tracce di queste famose piante. Infatti, la Regione che si trova ai piedi delle alpi prende il nome di Canavese proprio dalla Canapa.
In Italia l’uso della Canapa veniva impiegato per produrre filati di altissima qualità con metodi industriali risalenti alla fine del 1700. Nel frattempo la Canapa acquisisce sempre più successo. Grazie ai suoi utilizzi in più campi viene definita a furor di popolo “la regina delle piante da fibra”. Veniva usata sempre più spesso per la realizzazione di reti per pescatori. Perché resistente all’acqua salata, soprattutto nel Veneto e oltretutto per la creazione di vestiti.
La regina delle piante da fibra
Nel 1923 molte famose industrie tessili che reclutarono un ruolo importante nell’economia italiana producevano filati greggi e candeggiati di Canapa. Utilizzati per tessitura, spaghi e corde, tappeti, filati per cucire suole per la pesca, vele e sacchi, gru, trasmissioni, montacarichi, cordame per marina e per ponteggi, fornitura per marina, esercito, poste, tabacchi, ferrovie e ospedali.
L’Italia era forte da una produttività così vasta e ben organizzata. Infatti, era evidente che sarebbe diventata la seconda al mondo per quantità di filati prodotti. La prima invece per quanto riguarda la qualità, arrivando a quasi 1000 ettari di terreni coltivati e soprattutto primo fornitore della Marina Britannica.
All’epoca la coltura della Canapa tessile era legata alle Repubbliche Marinare. Durante il trascorrere dei secoli volti alle conquiste marittime europee, la richiesta di tele e cordami creò un grande business intorno alla Canapa. Le navi britanniche avevano gli alberi delle vele, le vele stesse, la stoppa, i ciondoli e addirittura le carte delle mappe realizzate interamente in fibra di Canapa. Canapa coltivata, raccolta, lavorata e tessuta in Italia, considerate e classificate tra le imbarcazioni più sicure dell’epoca.
I primi divieti di utilizzo a livello storico
Durante gli anni ’30 il regime fascista dichiarò l’hashish, un derivato ricreazionale, nemico della razza e droga da “negri”. La coltivazione della Canapa viene studiata nelle scuole agrarie attraverso i manuali. Si arriva così alle falsificazioni e alle mistificazioni odierne nei riguardi di questo prezioso vegetale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la produzione di Canapa medio-europea e mediterranea aumentava in modo rapido. Perché di conseguenza sia le fibre tessili che gli oli sativi aumentavano il proprio costo. E perdipiù nasceva l’esigenza di materie prime contenenti da tanta cellulosa da cui si ricavavano esplosivi ottenuti producendo poi nitrocellulosa.
La fine della canapicoltura in Italia
Ai tempi il rifiuto delle faticose e difficili tecniche di macerazione, unito allo sviluppo dell’industria delle varie fibre sintetiche e all’aumento del costo legato al lavoro. Soprattutto se ci si sofferma all’applicazione della legge Jervolino-Vassalli che ne hanno decretato la fine della canapicoltura nel nostro Paese. Non fu tanto il decreto la causa, ma una seria difficoltà che riscontravano gli organismi di controllo. La difficoltà era il distinguere morfologicamente le diverse varietà: Indica e Sativa. Per anni hanno trovato legittimo sanzionare, sequestrare e incriminare coloro che erano colpevoli di reato. Ma a subirne ulteriori conseguenze sono stati gli agricoltori che a loro spese hanno riprodotto con tanta dedizione e abnegazione la lavorazione delle vecchie varietà. Dove, infatti, le sementi italiane erano considerate principalmente le migliori dai tecnici e dagli agronomi del settore.
Nel 1994 e 1995 nel nostro Paese viene ufficialmente coltivata la sola Canapa. Grazie al controllo ferreo delle forze dell’ordine e dell’Ente per le Nuove Tecnologie per l’Energia e l’Ambiente Organismo di Ricerca Statale. In Emilia Romagna e Valle d’Aosta ci sono stati tentativi di ricerca a scopo didattico, purtroppo repressi.
Nel 1997 poi la Comunità Europea sancisce così la reintroduzione della Canapa ad uso industriale. Grazie ad alcuni regolamenti nascono così i primi negozi italiani tematici sulla Canapa.
Ancora una volta i governi che si succedono nel nostro Paese agiscono in modo negativo. Scaturisce il vantaggio economico di pochi privilegiati che vanno ad intaccare una politica globale su questo vegetale.
Nel 2016 è entrata in vigore la legge che regola la coltivazione della Cannabis light, ovvero la 242 del 2016.
Negli ultimi anni
Negli ultimi anni le coltivazioni di Cannabis sono cresciute in modo smisurato. Dagli ultimi dati registrati, passano dai 400 ettari di coltivazioni di 4 anni fa nell’anno 2014 ai 4 mila attuali. Segno che dimostra un cambiamento che porterà questo prezioso vegetale a espandersi sempre più.